CHIOSA FINALE DI CLAUDIO GIARDINI AI CONTRIBUTI DI ALBERTO PICCINI SU: IN VITERBO - DIOMEO - 1544
Mi permetto di chiosare la nota aggiuntiva che Alberto
Piccini ha pubblicato attraverso al suo blog sul piatto in maiolica istoriata
del V&A raffigurante Diana e Atteone
e segnato In Viterbo- Diomeo 1544. La
chiosa riguarda il discorso sui falsi ottonovecenteschi in maiolica che Piccini introduce attraverso l’aneddoto del
prof. Lise.
Più che sulla manifattura Molaroni - che comunque a partire dagli anni ’80
dell’Ottocento, poco dopo l’acquisto da parte del Comune di Pesaro della
Collezione Mazza (31 dicembre 1857), era solita inviare i propri
pittori-decoratori a studiare ed osservare le splendide maioliche
rinascimentali del Ducato d’Urbino conservate allora al piano terra del Palazzo
Comunale, senza fare troppa attenzione
per la loro sicurezza e perchè "ci facessero la mano" – il discorso
va fatto su Ferruccio Mengaroni che non aveva remore a far sapere che lui
copiava quelle maioliche con risultati migliori dell’originale! A leggere infatti ad esempio l’handbook di
Rackham lo studioso inglese allora conservatore capo del Dipartimento di
Ceramica del Victoria and Albert Museum di Londra questi accenna ad una sua visita in Urbino
[cfr. G. C. Polidori, Bernard Rackham:
Italian Maiolica in “La Ceramica”,1, 1954, pp. 5-6; B. Rackham, Un piatto topografico di Orazio Fontana in
“Faenza, X, 1, 1922, pp. 3-5: ..la
primavera passata visitando la vecchia città ducale..] nel suo viaggio
italiano del 1921, ove era arrivato dopo essere passato per Venezia per vedere
al Correr i 17 piatti del cosiddetto “Servizio Ridolfi” del “Pellipario”, intento
a cercare conferme per i suoi studi sui modelli come le incisioni utilizzate
come fonte dai pittori rinascimentali italiani di maiolica. Da Urbino Rackham scende
anche a Pesaro a far visita a Ferruccio Mengaroni e rimane esterrefatto e
sconcertato nell’intuire la libertà e la mancanza di remore con cui il maestro
pesarese operava sulle copie dei vari manufatti di maiolica rinascimentale ma
soprattutto dalla bravura e perfezione dei risultati ...Shortly before his tragic death I visited Mengaroni in his workshop and
found there several works copied from chromolitografic illustrations. I do not know whether he deliberayely workerd for the
trade in fakes....In any case Mengaroni was one of the most dangerous of all
copystsof old maiolica.... …Poco prima della sua tragica morte visitai Mengaroni
nel suo studio e vi trovai molte opere copiate da cromolitografie. Io non so se
lui lavorasse volontariamente per il commercio dei falsi.....In ogni caso
Mengaroni fu uno tra i più pericolosi falsari di maiolica...(traduz. di
Elisa Sani), v. T.
Wilson, Faking maiolica in the early
twentieth century…[= La contraffazione delle
maioliche all’inizio del Novecento: la testimonianza del Museen-Verband] in L. Riccetti, a cura di, 1909. Tra collezionismo e tutela, Firenze 2010, p. 272. Timothy
Wilson peraltro fu così gentile quando in occasione di una sua conferenza a
Pesaro nel dicembre 2009 mi fece leggere in anticipo il suo saggio, poi
pubblicato sulla miscellanea di Lucio Riccetti e volle anche discutere con me sulle “scorribande”
di Ferruccio Mengaroni che avevano
preoccupato non poco diversi direttori di musei europei da istituire un
‘tavolo’ permanente (peraltro su circa un centinaio tra direttori e
conservatori museali, solo tre erano italiani e non parteciparono mai agli incontri,
realtà sconcertante ove si pensi che l‘ 80% delle maioliche di cui si discuteva
era patrimonio italiano): Wilson ne da
conto attraverso la segnalazione di numerose Mitteilungen ovvero Comunicazioni
ovvero Riassunti, noi diremmo Verbali delle discussioni durante le
riunioni tenutesi tra le due guerre sull’argomento [Wilson 2010, p. 270]; addirittura
Otto von Falke nel 1924, al tempo in cui era direttore generale dei Musei di
Berlino, aveva tenuto una conferenza ad hoc [Le maioliche false di Ferruccio Mengaroni] evidenziando come
diverse maioliche della prestigiosa Collezione Mazza dell’Ateneo Pesarese
esposte in Palazzo Ducale ove era allora allestito il Museo Civico fossero
state copiate e spacciate per originali e come diverse di esse fossero presenti nella
Collezione Imbert esposta al pubblico nel 1911 al Musée des Arts Decoratifs di
Parigi [Wilson, ivi]. Ferruccio Mengaroni poi com’era nella sua natura di
guascone impenitente aveva già confessato in pubblico il suo “peccato”: si
legga qui ...Ferruccio Mengaroni era allora
un bel giovanotto dagli occhi vivissimi, dalla testa scarmigliata. Aveva un po’
l’aria provinciale, era nervoso, parlava affrettato e a scatti. Dopo i primi
convenevoli si venne a discorrere del piattino. “Ah il piattino faentino? -
rise un po’ - Quella fu una maiolica indovinata! A Roma specialmente ha avuto
un grande successo! Circa un anno fa bighellonando per via del Babuino vidi il
mio piatto nella vetrina del negozio di L... Chiesi per curiosità il
prezzo [Cinquemila lire] mi rispose quel
furbacchione dell’antiquario. Alla mia meraviglia espressa per la richiesta,
oppose ch’era un pezzo assai raro che valeva un occhio. Quante dozzine ne
volete, domandai ridendo. Quel piatto l’ ho fatto io. Voi! Proprio io. Sul
principio fece una faccia incredula, ma gli mostrai allo scopo di
persuaderlo due piccole mattonelle che
avevo con me, ispirate ad una stampa di Durer. E se io vi ordinassi un certo
numero di piattini come questo? domandò l’antiquario dopo aver pensato un po’,
mi fareste un prezzo conveniente? Quanto? Domandai subito, Anche una mezza
dozzina, rispose lui. Ebbene considerando il numero ve li metto
centocinquantalire l’uno. Affare fatto! Pagamento immediato alla consegna.
Concluse. Eseguiti ch’ebbi i sei piattini glieli mandai. Li deve aver venduti
tutti, aggiunse il giovanotto perché ieri me ne ha ordinati altri sei... da
una testimonianza degli antiquari Augusto Jandolo e Giuseppe Sangiorgi (leggi l’aneddoto
completo riportato in A. Jandolo, Antiquaria,
Milano 1947, pp. 229-234).
Non mi meraviglia quindi che Marcella Molaroni,
titolare oggi a Pesaro dell’antica fabbrica Molaroni, abbia confermato a
Piccini durante quella cena conviviale la conoscenza dei falsi mengaroniani se
non altro perché aveva anche la possibilità di apprenderlo dal marito il noto
studioso di ceramica Leon Lorenzo Loreti.
Fano, 21 aprile 2016
Claudio Giardini
CHI E' CLAUDIO GIARDINI
Claudio Giardini è stato direttore dal 1986 al 2000 dei Musei Civici di Pesaro comprendenti com’è noto due importanti sezioni: una Pinacoteca ed un Raccolta di Ceramiche. Nell’arco della sua attività storico artistica ha curato mostre e pubblicato numerosi lavori scientifici sia riferiti alla storia dell’arte figurativa che a quella ceramica, In campo ceramico ha curato la monografia sulla manifattura pesarese Casali e Callegari ed il catalogo delle ceramiche del Museo civico di Pesaro. E’ stato coocuratore della mostra sul ceramista Gian Calo Polidori allestita nel 2012 nelle sedi di Ascoli Piceno e Pesaro e del relativo catalogo. Nel 2015 ha
pubblicato un lavoro sulla maiolica rinascimentale urbinate Maioliche ducali e riflessioni ceramiche.
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